Franco Chieco, un ricordo

Quasi un segno del destino. Nel giorno in cui è stata ufficialmente chiusa l’esistenza fisica della storica sede barese di via Scipione l’Africano della Gazzetta del Mezzogiorno (con l’avvio della pratica di demolizione), è morto Franco Chieco che negli uffici del quotidiano era entrato per la prima volta 1945.

Nato nel 1927 in quella redazione aveva costruito la sua storia di giornalista: redattore, inviato, caporedattore e vicedirettore. Presidente, dal 1974 al 1984, del sindacato dei giornalisti pugliesi, fu consigliere nazionale e della giunta esecutiva Fnsi, ricoprendo per lunghi anni ruoli dirigenziali all’Inpgi e in Casagit. Molti l’hanno conosciuto e apprezzato in veste sindacale e ‘romana’, sempre a fianco dei colleghi in difficoltà.
In 77 anni di iscrizione all’Ordine dei Giornalisti come professionista – nel 2010 per festeggiare i 65 anni di giornalismo, l’Associazione della Stampa di Puglia organizzò una serata al Petruzzelli – Chieco ha firmato oltre 5mila articoli. Occupandosi di sport, cronaca, politica e soprattutto di musica, e politica musicale. Come critico musicale di lungo corso, e senza soggezioni. Inviato quando le testate locali si facevano vanto di non mancare i grandi avvenimenti artistici nazionali e festival internazionali. Penna efficace e senza fronzoli accese decisive le battaglie per il Petruzzelli; corredate da denunce accorate e indirizzate senza ambiguità ai colpevoli e alla pigrizia della politica locale. Avviate sulla Gazzetta furono portate avanti in seguito sulla rivista Contrappunti, fondata nel 1995, e con libelli aspramente polemici come Il fu teatro Petruzzelli.
Ma per noi, Franco era anzitutto l’amico spiritoso e saggio d’altri tempi che per primo diede fiducia al Festival di Martina Franca e a fianco del suo più ostinato sostenitore Franco Punzi (nella foto), e uno dei tre critici musicali – primo in ordine alfabetico con Duilio Courir ed Egidio Saracino – che il 14 febbraio 1987 a Bergamo sottoscrisse l’atto notarile istitutore dell’Associazione nazionale critici musicali. A lui, come «rappresentante esterno scelto dal comitato provvisorio che ha di fatto promosso l’associazione», fu attribuita la responsabilità di convocare la prima assemblea; e «fino alla normalizzazione delle cariche associative la rappresentanza dell’associazione verso i terzi e la sua amministrazione con i poteri più illimitati». Tale fiducia l’assemblea unanime convertì poi nel ruolo di segretario-tesoriere, di membro del direttivo e componente della giuria del Premio Abbiati. Per un quarto di secolo, fino al 2011, quando con una sorniona battuta sull’età, chiese di essere collocato tra i “senatori”, ha onorato il ruolo e non ha mancato un appuntamento. Contribuendo in modo sempre propositivo a farne un gruppo di amici-professionisti di qualità. Continuando a esercitare in ogni occasione la critica musicale con fierezza contagiosa, indomabile etica, condita di contegno pugliese e arguzia che gli si manifestava subito dagli occhi e la risata franca. E con un profondo senso di appartenenza alla setta dei privilegiati che hanno il dovere di spiegare (e convincere) con la scrittura i mille casi della musica. Lucido e vigile, nelle telefonate con gli amici degli ultimi anni non ha mai smesso di essere uno di noi. Un senatore-fratello maggiore: vicino all’associazione con i pensieri e le apprensioni per il futuro del mestiere. In pratica, dall’associazione non è mai uscito. (af)

Milano, 8 febbraio 2024

Andrea Estero